Queste sono le famiglie dei figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; da essi uscirono le nazioni che si sparsero sulla terra dopo il diluvio. (Genesi 10:32)
Questo è il verso conclusivo del decimo capitolo della Genesi, conosciuto come La tavola delle nazioni. Ci dice che tutte le nazioni del mondo si sono formate dai discendenti di Noè. La base di questa divisione a livello mondiale era la loro dispersione a Babele (Genesi 11:9), «ciascuno secondo la propria lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni» (Genesi 10:5; vedi anche Genesi 10:20,31). Per evitare che qualcuno pensi che questo elenco di nazioni sia semplicemente folklore, ci basta ricordare che William F. Albright, probabilmente il più grande archeologo del XX secolo, lo ha definito «un documento sorprendentemente accurato». Molti etnologi parlano ancora di lingue e popoli iafetici, camitici e semitici.1
Ma per quanto riguarda l’origine delle “razze”? Cercare nella Bibbia è invano, perché né la parola né il concetto di “razza” compare nella Bibbia! Non esiste alcuna razza, tranne la razza umana! Il colore della pelle e altre caratteristiche presunte razziali sono semplici ricombinazioni di fattori genetici innati, originariamente creati in Adamo ed Eva per permettere lo sviluppo di diverse caratteristiche familiari nella razza umana, alla quale fu comandato di moltiplicarsi e riempire la terra (Genesi 1:28; 9:1).
“Razza” è rigorosamente un concetto evolutivo utilizzato da Darwin, Huxley, Haeckel, e gli altri evoluzionisti del XIX secolo per razionalizzare il loro razzismo. Ma da principio non fu così! «Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso; […] ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra» (Atti 17:24,26).
Liberalmente tradotto e adattato da Origin of the races by Henry M. Morris III.
- Da Iafet, Cam e Sem, i tre figli di Noè. (Genesi 10:1) ↩
Chi erano? Chiarimenti su Giovanni 8:31–47
Di Vincenzo
il 30 Ottobre 2025
in Commentari
L’ottavo capitolo del Vangelo di Giovanni contiene uno dei dialoghi più fraintesi del Nuovo Testamento. Inizia con la splendida affermazione: “Mentre egli parlava così, molti credettero in lui.” (Giovanni 8:30), ma nel giro di pochi versetti, coloro che sembrano aver creduto vengono definiti bugiardi, assassini e figli del diavolo. Per secoli, i commentatori hanno faticato a spiegare questa tensione. Questi “credenti” hanno forse perso la fede? La loro fede era insincera fin dall’inizio? La fede non è sufficiente? O sta accadendo qualcos’altro nella narrazione che molti non sono riusciti a vedere?
La risposta non sta nel sminuire il significato della fede, ma nel leggere attentamente ciò che Giovanni ha effettivamente scritto.
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