Era la prima domenica di settembre. Quella mattina, iniziai la giornata imbattendomi in un versetto che avrebbe dato il via a una serie di riflessioni:

Filippo disse: «Se tu credi con tutto il cuore, è possibile». L’eunuco rispose: «Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio»

Atti 8:37

Questo versetto, che racconta la risposta dell’eunuco etiope alla domanda di Filippo prima del suo battesimo, è assente in molti manoscritti antichi. Tuttavia, il suo significato va oltre i dibattiti testuali, come ho ricordato più tardi quel giorno stesso, durante una cerimonia battesimale.

L’essenza della fede salvifica

Leggendo questo versetto, i miei pensieri sono andati immediatamente alle recenti controversie sul concetto di fede salvifica, in particolare all’interno della comunità Free Grace (prevalentemente americana). Una corrente sembra voler ridimensionare l’idea che la salvezza dipenda dal riconoscimento di Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio (Gv 20:31), proponendo una versione del Vangelo che si discosta dalla semplicità e bellezza che troviamo nella Scrittura.

Atti 8:37 è un versetto contestato, spesso relegato a note a piè di pagina o inserito tra parentesi nelle traduzioni moderne, a causa della sua assenza in alcuni manoscritti antichi. Eppure, anche se fosse un’aggiunta successiva, ci offre una preziosa finestra sulla comprensione del vangelo nella chiesa primitiva. La possibilità che sia stato inserito da un copista non compromette l’integrità della Scrittura, né ne diminuisce il valore; anzi, accresce il nostro apprezzamento per la chiarezza che questo versetto porta con sé.

Se il versetto fosse davvero posteriore, rifletterebbe comunque la convinzione dei primi cristiani: il cuore della fede salvifica è il semplice credo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Questa verità è ribadita in tutti e quattro i vangeli, con il Vangelo di Giovanni particolarmente esplicito nell’affermare che la vita eterna si ottiene attraverso la fede nell’identità di Gesù. E, ancora più importante, la vita eterna non è un fine in sé, ma un mezzo per raggiungere un obiettivo più alto: dimorare per sempre con Dio.

Così, la dichiarazione dell’eunuco, originale o meno, racchiude il nucleo del vangelo come compreso dai primi seguaci di Cristo.

Gioia e confusione

Dopo queste riflessioni mattutine, continuai la giornata partecipando alla funzione domenicale con la mia famiglia e pranzando rapidamente a casa. Nel pomeriggio, ci dirigemmo alla cerimonia battesimale organizzata da due chiese locali qui in Toscana, dove viviamo e serviamo. Siamo stati invitati da amici la cui figlia stava per essere battezzata. È stato un momento di adorazione, comunione e celebrazione della nuova vita in Cristo.

La cerimonia è stata piena di momenti gioiosi: una presentazione piuttosto chiara del vangelo, inni scelti dai battezzandi e testimonianze commoventi, alcune semplici, altre profondamente emozionanti e alcune di natura drammatica. È stato un privilegio assistere a questi giovani credenti che compivano questo passo significativo nel loro viaggio spirituale.

Tra la gioia, non ho però potuto fare a meno di notare una cosa. Sebbene le testimonianze fossero sincere e incoraggianti, rivelavano una profonda confusione sul vangelo e sul significato della conversione. Anche le domande poste dagli adulti incaricati del rito d’immersione riflettevano una comprensione ambigua.

La mia osservazione non vuole affatto sminuire la bellezza dell’evento, la veridicità delle conversioni o la genuina comunione che abbiamo condiviso in seguito, con cibo abbondante, conversazioni vivaci e bambini che giocavano felici. Tuttavia, è una questione che non può essere ignorata.

Fede o impegno?

Durante la cerimonia battesimale, due punti mi sono diventati ancora più chiari di quanto non lo fossero già:

  • Esiste una diffusa confusione sul messaggio fondamentale del Vangelo.
  • C’è un malinteso su cosa costituisca una conversione autentica e, di conseguenza, sui requisiti per il battesimo.

Ascoltando i motivi dei giovani per essere battezzati, è emerso che molti non lo facevano perché avevano riconosciuto Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, quella semplice verità che è il fondamento della fede cristiana. Non fraintendetemi: tutti professavano fede in Gesù, ma per la maggior parte, questa era una decisione presa anni prima. Ma la ragione per cui ora venivano battezzati è che avevano raggiunto una certa maturità spirituale o avevano sperimentato un profondo risveglio spirituale. Alcuni hanno dichiarato di battezzarsi perché avevano finalmente dato la loro vita a Gesù; altri parlavano di farlo in seguito alla loro decisione di rendere Gesù il loro Signore e Salvatore; altri ancora menzionavano di aver deciso di seguirlo o di essere finalmente pronti a impegnarsi pienamente nella vita cristiana.

Ciò che mi ha turbato non era la loro sincerità, ma piuttosto la confusione di fondo sul vangelo. Se il battesimo è un’immagine della nostra salvezza in Cristo, sembra che ci siamo allontanati dalla fede come fondamento semplice e solido della salvezza, sostituendola con l’esperienza e l’impegno personali.

Eppure, Atti 8:37 resta inequivocabile. Perché Filippo battezzò l’eunuco? Semplicemente perché credeva che Gesù fosse il Cristo, il Figlio di Dio. Nulla di più, nulla di meno.

Il ruolo dell’esperienza personale

Quella che normalmente viene detta “un’esperienza col Signore” può essere (e per lo più è) semplicemente un passo di maturazione di una fede già esistente. Eppure nella cultura ecclesiale moderna è sempre più comune dubitare della validità di una conversione se essa non è accompagnata da una trasformazione drammatica o un impegno visibile a seguire Cristo. Questo può essere particolarmente gravoso per chi è cresciuto in famiglie cristiane.

L’ho visto chiaramente in una delle testimonianze. Un giovane di 17 anni, ha osservato—inconsapevolmente ma acutamente—l’illogicità di questa richiesta. Essendo cresciuto con valori cristiani, la sua ancora giovane vita non ha visto il drammatico cambiamento che molti si aspettano come prova di vera fede. Per lui, la decisione del battesimo non era scaturita da un cambiamento radicale, ma da una maturazione che l’ha portato a pregare e a leggere di più la Scrittura.

Questa osservazione sottolinea una questione cruciale: quando la conversione è misurata da significativi cambiamenti di vita, coloro che sono cresciuti in famiglie cristiane si trovano in una posizione difficile. Il battesimo rischia di diventare più un riconoscimento pubblico della propria maturità spirituale che una professione della propria fede in Cristo.

Riflessioni sul battesimo moderno

Questa tendenza solleva diverse preoccupazioni.

In primo luogo, complica il semplice messaggio del vangelo. La fede salvifica è radicata nella convinzione che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Questo è l’essenziale che deve essere abbracciata per la salvezza. Quando però aggiungiamo requisiti di esperienze personali o impegni, rischiamo di oscurare questa verità fondamentale.

In secondo luogo, si può andare involontariamente a minare la certezza della salvezza per il credente. Se la salvezza è legata a esperienze in corso o al frutto visibile dell’impegno, allora la certezza dell’appartenenza eterna alla famiglia di Dio può traballare, in particolare durante periodi di aridità spirituale o dubbio.

In terzo luogo, pone un peso eccessivo sui giovani credenti, in particolare quelli provenienti da famiglie cristiane, per dimostrare un livello di maturità spirituale che potrebbe non essere appropriato per la loro fase della vita.

Il pericolo è che il battesimo diventi una dimostrazione di meriti personali, piuttosto che una professione di fede in Cristo. È forse bene riconsiderare il ruolo delle testimonianze nei servizi battesimali. Il battesimo è un atto sacro, una dichiarazione pubblica di fede in Gesù. Le testimonianze personali, pur belle, non dovrebbero oscurare l’essenza del battesimo: l’identificazione con la morte e resurrezione di Cristo. Quindi, testimoniamo pure, ma testimoniamo per confessare davanti mondo intero di riconoscere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e che è in base a tale confessione che ci battezziamo.

Conclusione

Riflettendo su questi temi, vedo la necessità di tornare alla semplicità del Vangelo. La chiesa primitiva sapeva che l’essenza della fede salvifica era una fede semplice in Gesù come Cristo, il Figlio di Dio. Questo è il messaggio che dobbiamo preservare e trasmettere chiaramente. Così, non solo manterremo la purezza del Vangelo, ma libereremo anche i giovani credenti da pesi inutili. Il battesimo dovrebbe essere una gioiosa espressione di fede, non una prova di maturità spirituale.