La prima lettera di Giovanni manca di saluto, introduzione personale, e chiusura, quindi il suo stile sembra più quello di un trattato o di un sermone (Thompson, 2011). Tuttavia, mostra pur sempre caratteristiche epistolari, essendo diretta a una congregazione, della quale affronta i problemi.
Vedremo come il consenso accademico affermi che l’occasione per questa epistola risieda in una primordiale forma di gnosticismo (Stott, 1988; Harris, 2003) e come recenti ricerche abbiano invece messo in discussione tale teoria (Griffith 1997; 1998).
Lo scopo dell’epistola sarà valutato confrontando il Test della Vita con il Test della Comunione, e discutendo la presunta natura polemica della lettera.
Uditorio
L’identità e la collocazione geografica dell’uditorio non possono essere ottenute dal testo, ma è possibile determinare che il pubblico principale è una comunità cristiana che conosce l’autore (1 Giovanni 2:1) e che sta subendo uno scisma (2:19) a causa di false idee emerse dall’interno (2:22). Harris (2003) lo conferma e ci dà Efeso come il luogo da cui proviene la lettera.
Sebbene Giovanni si rivolga a una congregazione con intenti pastorali, potrebbe esserci un uditorio secondario, ovvero degli scismatici che praticano e professano un qualche grave errore, e ai quali sarebbe diretta una polemica (Stott, 1988).
Stott si allinea al consenso accademico e considera gli scismatici come dei protognostici, ma cita come gli studiosi Brooke e Barclay credano che gli oppositori di Giovanni fossero invece ebrei che rigettavano Gesù come Messia; lo studioso Smalley, d’altro canto, crede si tratti sia di ebrei che rigettano Gesù come Messia sia di Gentili che negano l’umanità di Gesù.
Griffith (1997; 1998) sostiene che le prove a favore dello gnosticismo siano prevalentemente di natura esterna al testo e che siano state sovrapposte a passaggi che avrebbero altrimenti una lettura più diretta (ad esempio 1 Giovanni 2:2; 4:2). Andando a ritroso dall’ultimo verso dell’epistola, Griffith (1997) conclude che gli scismatici siano ebrei presunti cristiani che stanno ora ritornando al giudaismo.
Contesto storico-sociale
Stott (1988) dipinge una società in cui stanno prendendo forma il docetismo e le prime forme di gnosticismo come il cerintianismo, ma anche dove il rifiuto da parte degli ebrei di Gesù come Messia sta diventando sempre più vigoroso.
Messaggio e scopo
Qui confronteremo letture polemiche (Stott, 1998) e non polemiche (Griffith, 1998) dell’epistola, così come contrasteremo il Test della Vita con il Test della Comunione (Derickson, 1993).
Letture polemiche e non polemiche
Stott (1988) presenta un duplice discorso rivolto pastoralmente alla congregazione e polemicamente ai falsi dottori scismatici, considerati protognostici. Edwards (1989) aggiunge che la confutazione ad opera di Giovanni potrebbe essere connessa al martirio, all’apostasia e all’idolatria. Griffith (1998) sottolinea che il consenso accademico sullo gnosticismo si basa sulla frase «è venuto nella carne», eppure osserva come nella letteratura contemporanea tale frase significhi semplicemente «è venuto nel mondo», nel qual caso 1 Giovanni 4:2 farebbe eco alla confessione di Marta in Giovanni 11:27.
Griffith continua la sua analisi cristologica permettendo a 1 Giovanni 2:22 di interpretare i più oscuri 4:2-3 e 5:6, e concludendo che la materia di discussione non è “Chi è Gesù?” quanto piuttosto “Chi è il Messia?”, il che darebbe credito alla teoria di Griffith secondo la quale gli scismatici sono ebrei.
Il rifiuto di Gesù come Messia sembra fornire un indizio per comprendere il peccato che porta alla morte (1 Giovanni 5), poiché l’accettazione di Gesù porta al perdono di tutti i peccati.[1] Griffith arriva alla stessa conclusione dopo aver spiegato come il peccato generale di cui parla Giovanni in 1 Giovanni 1:6-2: 2 non è il peccato specifico trovato in 1 Giovanni 3:4-10,[2] che Griffith vede come apostasia, nel senso di una ribellione estrema e finale possibile, secondo lui, solo a coloro che non sono nati da Dio.
Bruce (1987) sembra concordare con l’idea che il peccato che porta alla morte sia l’apostasia, sebbene abbia in mente una definizione diversa di apostasia, un rigetto del quale sarebbero capaci anche gli i nati di nuovo.
Busenitz (1990) esamina diverse alternative del “peccato che conduce alla morte”, ma anche lui conclude che non c’è motivo di pensare che un tale peccato sia commesso da un credente; questo, insieme alla sua convinzione che la morte in vista sia la morte seconda, fornisce ulteriore supporto all’idea che il “peccato che conduce alla morte” sia un rifiuto messianico.
L’esposizione di Griffith (1997) continua in maniera coerente, incluso l’ultimo verso, che altrimenti rimarrebbe problematico: Giovanni – egli sostiene – sta ribaltando una polemica ebraica tradizionalmente usata contro l’idolatria dei Gentili, così da etichettare gli scismatici stessi, ebrei, come idolatri per aver respinto il Messia.
Per quanto riguarda il dibattito morale nell’epistola, il già citato consenso accademico vedrebbe gli slogan in 1 Giovanni 1:6,8,10; 2:4,6,9; 4:20 come strumento polemico utilizzato per identificare gli scismatici come gnostici, poiché sappiamo da prove esterne che questi erano inclini all’immoralità (Stott, 1988). Griffith (1998), tuttavia, sposa l’idea che la presenza di questi scismatici non sia nemmeno necessaria per dare un senso a quei passaggi. Hodges (1999) concorda, osservando che questi “avversari” non vengono introdotti prima di 2:18. Pertanto, questi slogan potrebbero semplicemente essere delle figure retoriche, come Griffith dimostra servendosi del Thesaurus Linguae Graecae.
Test della Vita e Test della Comunione
Derickson (1993) spiega che il Test della Vita identifica lo scopo generale della lettera in 1 Giovanni 5:13 e teorizza che l’autore stia elaborando dei test per discernere i veri credenti da quelli falsi. Il Test della Comunione, invece, vede lo scopo dell’epistola in 1 Giovanni 1:3 e sostiene che tali test danno ai credenti uno strumento per mantenere una buona comunione sia con il Padre che con i fratelli.
Smalley (1984, come citato in Derickson, 1993) riconosce entrambi gli scopi, restando libero, dunque, di interpretare la parola greca κοινωνία (comunione) nel suo senso più naturale, quello non soteriologico, allo stesso tempo lasciando intatta la certezza della salvezza, ottenendo una dicotomia vita-comunione che ricorda la bipolarità unione-comunione già discussa da Harrison (1954).
Conclusioni
Il consenso accademico vede l’epistola controllata dalla polemica contro gli scismatici (Stott, 1988), ma Griffith (1998) afferma che l’obiettivo di Giovanni è pastorale: proteggere la comunità da ulteriori perdite richiamandola alle sue confessioni fondamentali e ricordare ai credenti la loro comune esperienza di Spirito, battesimo e perdono attraverso il sangue di Gesù.
Allo stesso modo, quando si confronta il Test della Vita con il Test della Comunione, Smalley (1984) rifiuta l’idea che solo l’uno o l’altro sia l’obiettivo di Giovanni; osservando i problemi che affliggono la chiesa, egli vede Giovanni sia richiamare il suo gregge alle basi del Vangelo sia rispondere alle opinioni eretiche su Gesù.
Chiarimenti
Questo articolo è la traduzione di parte di un saggio che ho presentato all’esame di “Introduzione al Nuovo Testamento”. È importante capire che l’obiettivo dell’esaminatore è valutare la capacità di ricerca accademica dell’esaminato piuttosto che la sua posizione teologica. Pertanto non è inusuale per l’esaminato presentare posizioni teologiche non proprie. Nella fattispecie, il sottoscritto, pur avendo considerato la posizione per qualche tempo, non concorda con la conclusione che il “peccato che conduce alla morte” sia un rifiuto messianico, per il semplice motivo che in 1 Giovanni 5, l’autore si riferisce a coloro che commettono questo peccato come fratelli. Il sottoscritto rimane convinto che lo scopo di Prima Giovanni sia quello di incoraggiare credenti alla comunione (e pertanto a stare lontano da falsi insegnamenti di coloro che magari negano che il Messia sia Gesù), e che il peccato che conduce alla morte sia una disobbedienza persistente che spinge Dio in qualche modo a terminare la vita del credente sulla terra, poiché ormai è strumento non solo inutile ma addirittura controproducente.
Bibliografia
Busenitz, I. A. (1990), The Sin Unto Death. The Master’s Seminary Journal, 1(1), 17-32.
Bruce, F. F. (1987). Problem Texts (11): The Sin Unto Death. Harvester 46(11), 9.
Derickson, G. W. (1993). What Is the Message of 1 John? Bibliotheca Sacra, 150(597), 89-105.
Edwards, M. (1989). Martyrdom and the “First Epistle” of John. Novum Testamentum, 31(2), 164-171. doi:10.2307/1560700
Fruchtenbaum, A. G. (2003). The Footsteps of the Messiah: A Study of the Sequence of Prophetic Events. Tustin, CA: Ariel Ministries.
Griffith, T. (1997). ‘Little Children, Keep Yourselves From Idols’ (1 John 5:21). Tyndale Bullettin, 48(1), 187-190.
Griffith, T. (1998). A Non-Polemical Reading Of 1 John: Sin, Christology And The Limits Of Johannine Christianity. Tyndale Bullettin, 49(2), 253-276.
Harris, W. H. (2003). 1, 2, 3 John: Comfort and Counsel for a Church in Crisis. Dallas, TX: Biblical Studies Press.
Harrison, E. F. (1954). A Key to the Understanding of First John. Bibliotheca Sacra, 111(441), 39-46.
Hodges, Z. C. (1999). The Epistles of John: Walking in the Light of God’s Love. Irving, TX: Grace Evangelical Society.
Stott, J. R. W. (1988). The Letters of John (Rev. Ed.). Tyndale New Testament Commentaries. Leicester: InterVarsity Press.
Thompson, M. M. (2011). 1-3 John. The IVP New Testament Commentary Series, Volume 19. Downers Grove, IL: IVP Academic.
Note
[1] Si consideri anche il parallelo con il peccato imperdonabile (Matteo 12:22-45), ovvero il rigetto nazionale, da parte di Israele, di Gesù come Messia (Fruchtenbaum, 2003).
[2] Ciò è suggerito anche dalle due categorie di peccato in 1 Giovanni 5:16-17.