Per Grazia

È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede

Fede e battesimo: una riflessione

Era la prima domenica di settembre. Quella mattina, iniziai la giornata imbattendomi in un versetto che avrebbe dato il via a una serie di riflessioni:

Filippo disse: «Se tu credi con tutto il cuore, è possibile». L’eunuco rispose: «Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio»

Atti 8:37

Questo versetto, che racconta la risposta dell’eunuco etiope alla domanda di Filippo prima del suo battesimo, è assente in molti manoscritti antichi. Tuttavia, il suo significato va oltre i dibattiti testuali, come ho ricordato più tardi quel giorno stesso, durante una cerimonia battesimale.

Gesù con peccatori e pubblicani.

Il potere dell’amore incondizionato

Tra alcuni dei nostri fratelli esiste un’idea piuttosto peculiare. Sembrano nutrire il timore che la predicazione della grazia pura e incontaminata possa sviare il gregge, come se fosse il richiamo di una sirena alla dissolutezza. Permettetemi di illustrare la follia di questo pensiero con una semplice analogia.

Solo Cristo

Una domenica in Chiesa Cattolica Romana

Il presente articolo vuole riflettere insieme a voi sulla mia recente esperienza di messa cattolica. Alcune delle mie conclusioni o riflessioni potranno risultare controverse, soprattutto negli ambienti che sembrano avere come unica linfa vitale della propria fede quello di tenere il dito accusatorio ben puntato contro la Chiesa Cattolica Romana; ma le controversie portano almeno il beneficio della discussione, che se fatta civilmente, può solo edificare.

Precisazioni

Per chi è nuovo qui, voglio precisare che non sono cattolico romano e, personalmente, non suggerisco a nessun credente, neonato o “datato” che sia, di far parte di una congregazione di tale denominazione. Sia chiaro anche, però, che la ragione per cui non suggerisco la chiesa romana non è perché credo che sia totalmente priva di credenti, ma perché è una chiesa che, teologicamente e dottrinalmente, ha una lista piuttosto lunga di problemi che a mio avviso ostacolano non poco la gioia cristiana e il percorso verso la maturità, nonché l’accesso alla buona novella stessa.

L’adempimento delle Scritture nel Venerdì Santo

Il Venerdì Santo[1] è appena passato. È il giorno in cui si ricorda la croce di Gesù, la sua morte agonizzante sul legno. Per chi è familiare con il testo biblico, questo giorno non è affatto un giorno che coglie di sorpresa; non è inaspettato come si possa pensare e non è un qualcosa che avrebbe dovuto cogliere impreparati coloro che lo stavano vivendo più di duemila anni fa. Di certo questo giorno non era inaspettato per Gesù: Egli sapeva infatti più che bene, che quel giorno sarebbe arrivato; anzi, Gesù era venuto ed aveva vissuto proprio in vista di quel fatidico giorno. Avrebbe ricordato infatti più tardi a due suoi seguaci sulla via di Emmaus, che tutte queste cose dovevano accadere secondo le Scritture: “Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” disse loro Gesù, al vederli stupiti delle cose accadute quel Venerdì Santo. “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” continua il verso in Luca (24:25-26). 

Quali sono dunque queste “cose che lo riguardavano” che troviamo nelle Scritture a partire da Mosè fino a tutti i profeti? In questo studio, vogliamo soffermarci su una selezione di passaggi biblici che hanno preannunziato e poi descritto fin nei minimi dettagli tutto quello che Gesù, il Messia, avrebbe sofferto e perché. 

La vostra fede non vi appartiene?

Alzi la mano chi ha già sentito un calvinista affermare che la nostra fede non ci appartiene. Io di certo sì. Fino alla nausea. La loro argomentazione è di solito questa: il calvinista (che di solito sostiene che la fede salvifica non è un’espressione genuina del peccatore che si rivolge al Salvatore per essere salvato in seguito alla predicazione del vangelo) ci dirà che se rimaniamo dell’idea che la nostra fede è effettivamente nostra, allora la fede diventa un’opera. E poiché la Bibbia insegna che si è salvati per grazia attraverso la fede, indipendentemente dalle opere, la visione non calvinista della fede salvifica è considerata impossibile, perché ciò contraddirebbe l’insegnamento della Bibbia riguardo al ruolo che le buone opere svolgono nella salvezza.

Agostino, iconografia classica resa realisticamente, con background di riferimenti manicheisti.

Ecco come Agostino ha confuso i protestanti sulla salvezza

Agostino lascia un’eredità mista, per usare un eufemismo.

Da un lato, è uno dei più grandi geni di tutti i tempi, al pari di Platone e Aristotele nella sua influenza sullo sviluppo della cultura, della teologia e della politica occidentale. Non si può comprendere la civiltà occidentale senza Agostino. Dai suoi scritti si può sempre trarre un insegnamento positivo.

D’altra parte, la gente ama odiarlo. Gli ortodossi orientali accusano Agostino degli errori di latino che alla fine portarono il vescovo di Roma allo scisma. E gli anti-calvinisti lo accusano degli errori del calvinismo.

Giusto o sbagliato che sia, Agostino è stato tanto influente. Si veda anche la sua influenza sulla “salvezza per signoria” (Lordship Salvation).

La Legge Mosaica e il Cristiano

Una questione spesso dibattuta è lo status della Legge Mosaica, che Dio diede agli Israeliti sul Sinai, nella vita cristiana. Un passaggio che spesso alimenta questo dibattito viene dal Vangelo di Matteo, dove Gesù dice:

“Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice passerà dalla legge senza che tutto sia adempiuto”.

Matteo 5:17-18

A prima vista, ciò potrebbe sembrare contraddittorio ad altri passaggi del Nuovo Testamento che suggeriscono che la Legge Mosaica sia stata superata.

La domanda è dunque: la Legge Mosaica è stata abolita o meno per il credente in Cristo?

La vita eterna nei vangeli: il potere della fede in Gesù, Messia, Figlio di Dio

Il Vangelo di Giovanni spicca per il suo intento evangelistico, che lo si consideri o meno l’unico libro del Nuovo Testamento con tale finalità. Giovanni annuncia un messaggio che risuona profondo e limpido: la vita eterna offerta gratuitamente da Dio.

Il contenuto della fede salvifica è in Giovanni 20:31, dove la fede in Gesù come Messia (o Cristo) e figlio di Dio viene delineata come il sentiero unico verso la vita eterna.

Però, se ci spostiamo sulle tracce dei vangeli sinottici—Matteo, Marco e Luca—incontriamo obiettivi diversi. Ognuno di questi resoconti è stato redatto pensando a un uditorio specifico e mira a mettere in risalto particolari aspetti della vita, degli insegnamenti e delle opere di Gesù.

Questa varietà di scopi e destinatari pone una domanda cruciale: è possibile per un individuo, immergendosi nella lettura di uno dei vangeli sinottici, scoprire in esso il messaggio indispensabile per raggiungere la vita eterna, come potrebbe farlo nel vangelo di Giovanni?

A nostro avviso, la risposta è . Questo articolo mira a dimostrare come ognuno dei quattro vangeli, nonostante le loro specifiche finalità e uditori, sia intriso dell’essenziale affermazione di Gesù come Messia, Figlio di Dio—quel messaggio che se creduto garantisce la vita eterna.

Romani 10:9-10 – È giusto usarli per evangelizzare?

Citati in tanti volantini evangelisti o proclamati dal pulpito, questi versetti vengono spesso usati per indirizzare i non credenti verso il vangelo della vita eterna. Tuttavia, è davvero a questo che Paolo si riferisce qui?

Contesto

Il libro dei Romani fu scritto da Paolo alla chiesa di Roma, che molto probabilmente si formò attraverso la predicazione di Pietro, come leggiamo in Atti 2. Da quel passaggio leggiamo che molti Giudei di “ogni nazione che è sotto il cielo” (v. 5), anche da Roma (v. 10), erano a Gerusalemme per una festività giudaica. Probabilmente questi ebrei tornarono a Roma con il messaggio del vangelo e vi formarono una chiesa. Tuttavia, quella chiesa era molto probabilmente composta sia da ebrei che da gentili, dato che Paolo affronta, in questa lettera, questioni dottrinali per entrambe le audience.

Presumibilmente, il capitolo che stiamo analizzando fa parte di un problema molto specifico che questa chiesa sta vivendo, e Paolo affronta questo problema nei capitoli 9, 10 e 11: un conflitto tra ebrei e gentili, forse una qualche forma di antisemitismo (Ro 14-15). Tuttavia, sostiene Paolo, Dio è fedele e manterrà le Sue promesse (Ro 8:29) sia agli Ebrei, sia ai Gentili. Dio ha infatti eletto Israele (Ro 9), poi ha rigettato Israele a causa della sua incredulità (Ro 10), ma alla fine riceverà e accetterà nuovamente Israele (Ro 11).

Ora, il capitolo 10 inizia con Paolo che dichiara quanto sia grande il suo desiderio di vedere la nazione di Israele rivolgersi finalmente a Gesù come al loro tanto atteso Messia. Ma poi, sottolinea che hanno preferito la propria giustizia a quella di Dio (vv. 3-4). Per questo motivo, non sono in grado di “invocare il nome del Signore”, a causa della loro mancanza di fede (v. 10). Le conseguenze sono l’essere fuori dalla comunione e dalla protezione (v. 10) di Dio.

Gioele 2:32


Il versetto dal libro di Gioele che Paolo cita in Romani 10:13 è importante per la comprensione di Romani 10:9-10. “Invocare il nome del Signore” è qualcosa che i credenti in generale fanno, ma qui è specifico del tempo della Tribolazione (Gioele 2:31), quando Israele riconoscerà il Messia. Essi “invocheranno il suo nome” e saranno salvati, saranno riscattati e finalmente sarà dato loro il regno terreno promesso ai loro padri.

Conclusione

Tenendo conto del contesto di Gioele 2:32 e dello scopo generale del libro di Romani, non si può dire che i versetti analizzati siano soteriologici nel loro scopo. La salvezza di cui si parla nel versetto 9 fa parte di un discorso più ampio che Paolo stava cercando di fare per suscitare accettazione e compassione per la nazione di Israele, eletta irrevocabilmente da Dio (Ro 11:28), temporaneamente fuori dalla comunione (Ro 11 :15), ma che alla fine sarà ripristinata (Ro 11:26). Infine, la salvezza menzionata nei versetti 9 e 10 presuppone anche la salvezza soteriologica, come possiamo dedurre da Romani 10:14-15.

La certezza della salvezza negli scritti di Pietro, Giacomo e Paolo

Introduzione

La dottrina della certezza e sicurezza eterna è stata a lungo una pietra angolare della fede cristiana, offrendo conforto e incoraggiamento ai credenti mentre navigano nelle vicissitudini della vita. Radicata negli insegnamenti di Gesù e degli apostoli, questa dottrina delinea la natura immutabile delle promesse di Dio e la certezza della salvezza del credente in Cristo.

La certezza è il terreno su cui molte teologie si dividono e prendono posizione; Mi piace questa citazione di Ken Keathely: “Gli arminiani sanno di essere salvati ma hanno paura di non poterla mantenere, mentre i calvinisti sanno di non poter perdere la loro salvezza ma hanno paura di non averla”[i]. In tutto il Nuovo Testamento, tuttavia, la dottrina della certezza e della sicurezza eterna è accentuata come una verità inconfutabile, fondata sulla grazia di Dio, sull’opera sacrificale di Gesù Cristo e sulla potenza rigeneratrice dello Spirito Santo. Sottolineando l’origine soprannaturale della nuova nascita del credente, gli scritti apostolici fungono da fervido appello ai cristiani affinché riconoscano la loro incrollabile posizione davanti a Dio, liberi dal timore di perdere la loro salvezza.

Attributi degni di ricompensa

Onore all’umile

Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli”

(Matteo 5:3 – NR2006)

Devo confessare che quando mi sono offerta di scrivere su questo particolare attributo che troviamo nelle Beatitudini, non avevo idea di cosa significasse davvero essere “poveri in spirito”. Inizialmente, pensavo significasse “essere tristi” o magari “deboli”. Tuttavia, dopo un bel po’ di ricerca, ho trovato un articolo di Zane Hodges che mi ha aiutato a fare chiarezza. 

È tempo di affrontare l’immoralità dei lockdown

Il fallimento dei leader religiosi e spirituali nell’affrontare i costi sociali delle restrizioni è stata una totale parodia

di Fergus Butler-Gallie (per The Telegraph)

All’indomani del Natale arriva la festa di Thomas Becket, il più famoso dei turbolenti sacerdoti, il cui rimprovero morale al re Enrico II ha portato alla sua morte. C’è stato un tempo in cui la Chiesa metteva pressione allo Stato in termini di moralità, per quanto impopolari fossero i suoi interventi con i leader più laici.

La pandemia non è stato un periodo così. Quando le persone sono state chiuse nelle loro case e le attività “non essenziali” sono state chiuse, la Chiesa non ha fornito solide ragioni per essere essenziale, e ha chiuso i battenti. Proprio quando il paese aveva più che mai bisogno di aiuto spirituale, il clero dignitoso si ritirò nelle loro cucine.

Molti lo consideravano un’abrogazione della leadership, ma è stata la normalità per gran parte del secolo scorso. Durante gli sconvolgimenti politici, le guerre e gli attacchi terroristici, i nostri leader religiosi hanno in gran parte agito come attori di supporto ai primi ministri che hanno parlato usando il vocabolario morale che un tempo era appannaggio degli arcivescovi. “La forza che Dio ci ha dato per fare la guerra contro una mostruosa tirannia”, ha detto un primo ministro. “Dove c’è discordia, possiamo portare armonia”, ha esortato un altro. “Una nuova alba è spuntata”, ha celebrato un altro.

All’inizio dell’emergenza Covid, ciò è stato sufficiente. Il Presidente del Consiglio ha parlato in termini di responsabilità morale, del nostro dovere verso gli altri, specialmente i più vulnerabili, e della grande lotta che avevamo davanti a noi.

Tuttavia, non ci è voluto molto perché il linguaggio cambiasse. L’effetto del lockdown è stato presto espresso in termini di “economia” o “scienza”. Nel frattempo, la condizione degli emarginati – che non hanno la migliore rappresentanza politica e che spesso hanno più motivi per fare affidamento sulla chiesa – è stata in larga misura ignorata.

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