Recentemente ho fatto una chiacchierata con un gruppo di cattolici romani online. Una delle persone su quella pagina si è dimostrata cordiale e aperta al dialogo; abbiamo discusso le nostre differenze tranquillamente. Tuttavia, una delle domande che mi ha fatto richiedeva una risposta lunga che sostanzialmente si è tradotta in un piccolo studio biblico, che ora vi propongo.

La richiesta

Mi è stato chiesto di analizzare i versi di Matteo 21:28-32. Il commento che accompagnava la richiesta era: «In pratica, questa parabola pone il fare prima del credere, nel senso che il fare implica già il credere, anche se non viene espresso pubblicamente a parole».

È chiaro che il nostro amico ha portato il suo bagaglio presupposizionale nella discussione, leggendo nel testo delle opere giustificatrici che seguono necessariamente la vera fede, quando difatti tale concetto è totalmente alieno al testo che stiamo per esaminare. Intanto, citiamo il passaggio:

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Avvicinatosi al primo, disse: “Figliolo, va’ a lavorare nella mia vigna oggi”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”; ma poi, pentitosi, vi andò. Avvicinatosi all’altro, disse la stessa cosa. Egli rispose: “Vado, signore”; ma non vi andò. Quale dei due fece la volontà del padre?» Essi gli dissero: «Il primo». E Gesù a loro: «Io vi dico in verità: i pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui. (Matteo 21:28-32)

Chiarimenti sulla posizione Cattolica Romana

Il nostro amico cattolico vede nei due figli della parabola, soprattutto in quello ubbidiente, opere buone che seguono la fede. Per capire bene come il cattolico vede il rapporto tra fede e opere in relazione alla giustificazione, è bene citare l’undicesimo canone sulla giustificazione della sesta sezione del Concilio di Trento:

Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.

Peccato, però, che:

Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. (Romani 5:1)

Una volta giustificati per fede, abbiamo pace con Dio. Pertanto, qualsiasi eventuale opera susseguente ha scopi, obiettivi e ragioni diverse che analizzeremo in altra sede, insieme sul perché di tale confusione che, è bene sottolineare, troviamo anche nell’ambiente protestante, sebbene con sfumature diverse.

La risposta

La parabola, come tante altre, è un messaggio di Gesù ai farisei e capi religiosi dell’epoca. E l’enfasi, paradossalmente, è proprio sulla fede, non certo su una presunta relazione tra “fare” e “credere”.

In questa similitudine Gesù esemplifica quanto segue: ci sono due figli; uno fa quello che il padre vuole anche se inizialmente s’era rifiutato, l’altro mente al padre e non fa ciò che aveva promesso di fare. Fin qui, tutto chiaro. Detto ciò, Gesù passa a spiegare cosa ha voluto rappresentare con quella similitudine: il primo figlio rappresenta peccatori pentiti che hanno creduto al messaggio di Dio, il secondo figlio invece rappresenta i capi religiosi dell’epoca, bigotti e ipocriti, che si rifiutano di credere e si crogiolano nella loro presunta rettitudine.

Più di una volta nei vangeli vediamo Gesù accusare i farisei di comportarsi in maniera incongrua rispetto a quanto professano. Infatti altrove (Marco 7:6; Matteo 15:8), il Signore, citando da Isaia, dice: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me». Che è esattamente ciò che fa il secondo figlio nella parabola.

Quindi il racconto ci rivela qualcosa di diverso dalla lettura cattolica: coloro che vengono ammessi nel Regno di Dio sono coloro che, come pubblicani e prostitute, pur evidentemente peccatori, hanno creduto (verso 32). Coloro che non vi entrano, invece, sono coloro che pur pensandosi religiosi e santi solo perché “osservano la legge” (o almeno credono!), non credono al messaggio di Dio (sempre verso 32).

Come si viene ammessi, dunque, nel Regno di Dio? Per fede. Le tantissime ed esteriormente bellissime opere dei farisei non valgono a nulla senza fede nel Vangelo. Un pubblicano o una prostituta che crede al Vangelo è giustificato ed entra nel Regno di Dio. Un fariseo non vi entrerà mai senza fede, nonostante la sua apparente santità.

Questo è consistente con altri passaggi dove Gesù rimarca la condizione di dannazione del religioso senza fede salvifica:

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. (Matteo 23:28-28)

E ancora Luca 18:10-14, Giovanni 5:39-40, e tanti altri.

I farisei, con la loro meticolosità riguardo alla legge (come ci ricorda Paolo, che fu egli stesso fariseo, in Filippesi 3:5-6), apparivano giusti esternamente agli uomini, ma dentro erano pieni di peccato, perché il peccato inizia nel cuore (Marco 7:21-22) ed è proprio per questo che la nuova nascita tramite la fede è necessaria (e sufficiente) alla salvezza:

Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità (2 Timoteo 1:9)

La volontà del Padre

Pertanto, certo, nella parabola è il primo figlio che fa la volontà del padre. Ma qual è la volontà del Padre Nostro? Gesù ci risponde:

Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Giovanni 6:40)

È bene ricordare una cosa del vangelo di Giovanni: l’apostolo, sotto ispirazione dello Spirito di Dio, ci dice che le informazioni riportate nel suo Vangelo sono sufficienti alla salvezza; poiché è scritto:

Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro; ma questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il *Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome. (Giovanni 20:30-31)

Siccome ciò che Giovanni ci racconta è sufficiente ad ottenere la vita eterna; e siccome è impossibile derivare la dottrina di giustificazione cattolica dal vangelo di Giovanni, concludiamo senza vacillare che i cattolici romani sono in errore riguardo la dottrina di giustificazione.