Il Signore disse a Mosè: «Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aaronne convocate la comunità e parlate a quella roccia, in loro presenza, ed essa darà la sua acqua; tu farai sgorgare per loro acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al suo bestiame». Mosè dunque prese il bastone che era davanti al Signore, come il Signore gli aveva comandato. Mosè e Aaronne convocarono l’assemblea di fronte alla roccia e Mosè disse loro: «Ora ascoltate, o ribelli; faremo uscire per voi acqua da questa roccia?» E Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il suo bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; e la comunità e il suo bestiame bevvero. Poi il Signore disse a Mosè e ad Aaronne: «Siccome non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele, voi non condurrete quest’assemblea nel paese che io le do». (Numeri 20:7-12)

Quando lessi per la prima volta che il Signore aveva proibito a Mosè e Aaronne di entrare nella terra promessa, non ne capii bene il motivo. Il popolo di Israele si trovava alla Roccia di Oreb e si lamentava della mancanza d’acqua e il Signore disse allora a Mosè e Aaronne di parlare alla roccia affinché ne sgorgasse acqua; ma Mosè invece colpì la roccia con il bastone. L’acqua uscì comunque, ma il Signore mostrò il suo disappunto ai due fratelli e impartì loro una punizione.

Cosa hanno fatto?

Una delle ragioni per una tale punizione la si può trovare in un’attenta analisi del testo di apertura. Innanzitutto il Signore aveva reso chiaro che questa volta sarebbe stato sufficiente semplicemente parlare alla roccia per vedere l’acqua sgorgare da essa, al contrario della prima volta, dove a Mosè fu ordinato di percuotere la roccia (Esodo 17:6). Ma Mosè disobbedisce e colpisce la roccia per ben due volte, anziché parlarle. La colpa dei fratelli è resa chiara dalle parole del Signore, quando asserisce «non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele». Mosè e Aaronne non avevano avuto fede e le loro azioni non avevano, pertanto, glorificato Dio; il che lascia sottintendere che erano state compiute con uno spirito orgoglioso, poiché con le loro azioni avevano mostrato che fosse necessario aggiungere di tasca propria alla promessa di Dio; la punizione era inevitabile.

Tutto qua?

Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione … (Romani 15:4)

Paolo, nella lettera ai Romani, ci ricorda che tutto ciò che il Signore ha voluto annotare nelle sue Scritture è stato scritto per nostra istruzione. Non sarebbe infatti la prima volta che un episodio del vecchio testamento, benché storico, contenga significati più profondi che possono esserci chiariti alla luce del nuovo testamento e possono dare a noi credenti maggiore comprensione e conforto nella nostra fede.

La punizione che il Signore infligge a Mosè e Aaronne è cosa non da poco, se si considera il ruolo importante che ricopriva Mosè, eletto dal Signore per liberare i figli di Israele dalla schiavitù e condurli nella libertà della terra promessa. Quando poi ci fermiamo a riflettere che la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana è simbolo della liberazione del credente in Cristo dalla schiavitù del peccato (Giovanni 8:34; 1:29), e che l’entrata nella terra promessa è simbolo dell’entrata nel regno di Dio (Colossesi 1:13; Romani 6:18), è d’obbligo ponderare il testo ulteriormente per carpire la lezione che ha in serbo per noi Cristiani.

Il nuovo testamento ci fornisce un dettaglio fondamentale della Roccia di Oreb: questa Roccia era Cristo (1 Corinzi 10:4); il che sembra dare un nuovo e più ricco significato a ciò che il Signore disse a Mosè: «Ecco io starò là davanti a te, sulla roccia che è in Oreb» (Esodo 17:6).

Mosè fu quindi comandato, la prima volta (Esodo 17:5-6), di colpire la roccia affinché ne sgorgasse acqua viva, e questo al cospetto degli anziani di Israele. Successivamente, il Signore disse a Mosè che sarebbe bastato avere fede e parlare alla roccia per avere acqua e dissetarsi, non c’era più bisogno di colpirla. Allo stesso modo, Cristo è stato crocifisso una volta e per sempre (Ebrei 9:28; 1 Pietro 3:18) al cospetto delle autorità ebraiche (Giovanni 19:20-21), affinché noi potessimo andare a lui per abbeverarci e fiumi di acqua viva (lo Spirito Santo) potessero sgorgare da noi (Giovanni 7:37-39). Dal Suo sacrificio in poi, è sufficiente chiedere in fede per avere da bere quell’acqua che toglie la sete per sempre (Luca 11:13; Romani 10:13; Giovanni 4:14).

Tutto ciò ci rende più chiaro quale grande peccato rappresenta la disubbidienza di Mosè nel passaggio di apertura: è simbolo di colui che, in arroganza e orgoglio, ritiene il sacrificio di Cristo insufficiente e vorrebbe ripeterlo, o magari aggiungere ad esso le proprie inutili opere. Ma il sacrificio di Gesù è unico, sufficiente e irripetibile: Egli stesso ha detto sulla croce, «È compiuto!» (Giovanni 19:30). Chiunque si rifiuta di credere questa verità essenziale del vangelo, non può salvarsi. Il sangue versato dall’Agnello di Dio purifica da ogni peccato (1 Giovanni 1:7): credete questo ed entrate nel Sabato del Signore.

Alleluja!